Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso  ex  lege  dall'Avvocatura  generale
dello   Stato   c.f.   80224030587,    fax    06/96514000    e    PEC
roma@mailcert.avvocaturastato.it  presso  i  cui   uffici   ex   lege
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, manifestando la volonta'
di     ricevere     le      comunicazioni      all'indirizzo      PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it nei confronti della Regione Lazio,
in persona del presidente della giunta regionale pro tempore  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli  3;  5,
comma 1, lettera g); 5 comma 1, punto 2,  lettera  h);  5,  comma  1,
lettera i); 5, comma 1, punto 2, lettera l), e numero 7; 5, comma  6,
lettera c); 20; 24; 32; 33; 79; e 84 della legge regionale 22 ottobre
2018, n. 7, pubblicata nel BUR n. 86 del  23  ottobre  2018,  recante
«Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale», giusta
delibera del Consiglio dei ministri in data 21 dicembre 2018. 
    Con la legge regionale n. 2 del marzo 2017 indicata in  epigrafe,
che consta di ottantanove articoli, la Regione Lazio  ha  emanato  le
«Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale». 
    In particolare: 
        l'art. 3 recante modifiche alle leggi  regionali  28  ottobre
2002, n. 39, «Norme in materia di gestione delle risorse forestali» e
successive modifiche e alla legge regionale 13 febbraio  2009,  n.  1
«Disposizioni urgenti in materia di agricoltura. Elenco dei  soggetti
assegnatari di  terreni  ARSIAL»  viola  l'art.  117,  comma  3,  con
riferimento all'art. 10 della legge n. 363/2000; 
        l'art.  5,  comma  1,  numero  2,  lettera  g),  della  legge
regionale n. 7/2018 citata viola  gli  articoli  97  e  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione con  riferimento  all'art.  25,
comma 2, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, legge quadro sulle aree
protette; 
        l'art. 5, comma 1, lettera  h),  viola  l'art.  117,  secondo
comma, lettere l) e m), della Costituzione; 
        l'art. 5, comma 1, numero 2, lettera i),  viola  l'art.  117,
comma 2, lettera s), della Costituzione e si pone  in  contrasto  con
l'art. 13 della legge n. 394/1991 citata; 
        l'art. 5, comma 1, lettera l), punto n. 7, viola l'art.  117,
lettera s), della Costituzione e si pone in contrasto con l'art.  25,
comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata; 
        l'art. 20 viola l'art. 117, secondo comma, lettera h),  della
Costituzione; 
        l'art. 24 viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione; 
        l'art. 32 viola  l'art.  117,  comma  2,  lettera  h),  della
Costituzione; 
        l'art. 33, comma 1, lettera a),  viola  l'art.  117,  secondo
comma, lettere l) e m), della Costituzione; 
        l'art. 79 viola l'art. 117, secondo comma, lettera h),  della
Costituzione; 
        l'art. 84 viola l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l)  e
lettera m), della Costituzione. 
    E' avviso del Governo che con le norme denunciate in epigrafe  la
Regione Lazio abbia ecceduto dalla propria competenza  in  violazione
della  normativa  costituzionale  come  si   vuole   dimostrare   con
l'illustrazione dei seguenti 
 
                               Motivi 
 
1. L'art. 3 della legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7 viola  l'art.
117, comma 3, della Costituzione con riferimento  all'art.  10  della
legge n. 353/2000 (legge quadro in materia di incendi boschivi). 
    L'art. 3 della legge regionale n. 7/2018, contenuto nel  Capo  II
«Disposizioni  per  la  semplificazione  in  materia   di   ambiente,
agricoltura caccia e pesca e governo  del  territorio»,  dispone,  al
comma 1, che  «alla  L.R.  n.  39/2002  sono  apportate  le  seguenti
modifiche: 
        a) al comma 1 dell'art. 54 le parole "dagli articoli 74 e 75"
sono sostituite dalle seguenti "dall'art. 74"; 
        b) il secondo periodo del comma 3 dell'art. 58 e' soppresso; 
        c) dopo l'art. 67 e' inserito il seguente: 
    Art. 67-bis (ricostruzione di soprassuoli percorsi da  incendio).
- "1. Nel rispetto di quanto previsto dall'art.  10  della  legge  n.
353/2000 e successive modifiche,  ai  fini  della  ricostruzione  dei
soprassuoli delle zone boscate  e  dei  pascoli  percorsi  dal  fuoco
censiti nel catasto incendi di cui al comma 2 del medesimo  articolo,
i proprietari, gli affittuari, i locatari o i soggetti che esercitano
un diritto  reale  di  godimento  sui  suddetti  soprassuoli  possono
procedere all'esecuzione di interventi a carattere  selvicolturale  o
di ingegneria naturalistica.  Nei  primi  quindici  mesi  dall'evento
calamitoso, gli interventi di cui al primo periodo che non  prevedono
l'impiego di risorse finanziarie pubbliche  essere  realizzati  senza
l'autorizzazione di cui all'art.  45,  previa  comunicazione.  Per  i
soprassuoli,  compresi  all'interno  delle  aree  naturali   protette
regionali, si applicano le disposizioni di cui all'art. 33, comma  3,
della L.R. n. 29/1997.». 
    Il comma 1 della  norma  in  esame  modifica,  dunque,  la  legge
regionale n. 39/2002 («Norme in materia  di  gestione  delle  risorse
forestali»),  introducendo   l'art.   67-bis   («Ricostituzione   dei
soprassuoli  percorsi  da  incendio»)  citato,  consentendo  su  tali
soprassuoli, nel rispetto  dell'art.  10  della  legge  n.  353/2000,
«Legge quadro in materia di incendi boschivi», interventi  privati  a
carattere silvicolturale o di  ingegneria  naturalistica,  precisando
che,  nei  primi  quindici  mesi   dall'evento   calamitoso,   quegli
interventi  che  non  prevedano  l'impiego  di  risorse   finanziarie
pubbliche  possono  essere  realizzati  previa  comunicazione,  senza
l'autorizzazione di cui all'art. 45 della legge regionale n. 39/2002,
contenente la disciplina delle utilizzazioni forestali e  che  rinvia
al regolamento forestale in ordine alle modalita' con cui procedere a
tali utilizzazioni. 
    Il richiamo alla legge regionale n. 39/2002  non  e'  conferente,
perche' la  predetta  legge  disciplina  la  gestione  delle  risorse
forestali e non anche, come nel caso di  specie,  quelle  fattispecie
eccezionali quali i «territori percorsi dal fuoco». 
    La legge n. 353/2000 citata, legge quadro in materia  di  incendi
boschivi, che e'  normativa  di  principio  e  costituisce  la  norma
interposta rilevante nel caso di  specie,  prevede  che  le  regioni,
oltre alle attivita'  di  previsione,  prevenzione  e  lotta  attiva,
effettuino anche un controllo delle operazioni ivi  poste  in  essere
successivamente agli episodi di  incendio  al  fine  di  evitare  che
interventi non idonei  possano  pregiudicare  la  ricostituzione  del
soprassuolo percorso dal  fuoco  evitando,  altresi',  operazioni  di
speculazione. 
    La disposizione regionale impugnata non  e',  pertanto,  conforme
alla normativa interposta, poiche' introduce una tutela insufficiente
a evitare pregiudizi conseguenti alla ricostruzione  del  soprassuolo
percorso dal fuoco. 
    L'art. 10 della  legge  n.  353/2000,  «Divieti,  prescrizioni  e
sanzioni», al comma 1, quarto periodo, stabilisce che  «sono  vietate
per  cinque  anni,  sui  predetti  soprassuoli,   le   attivita'   di
rimboschimento e  di  ingegneria  ambientale  sostenute  con  risorse
finanziarie pubbliche, salvo specifica  autorizzazione  concessa  dal
Ministro dell'ambiente, per le  aree  naturali  protette  statali,  o
dalla  regione  competente,  negli  altri   casi,   per   documentate
situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni  in  cui  sia
urgente un intervento per la tutela di particolari valori  ambientali
e paesaggistici». 
    La legge statale, quindi, a prescindere dalla presenza di risorse
pubbliche, obbliga in ogni caso le regioni a rilasciare  i  necessari
atti autorizzatori. 
    La norma regionale de qua, che pure richiama  l'art.  10  citato,
introduce la possibilita' di intervenire senza  autorizzazione  e  in
base  alla  mera  comunicazione  nei  primi  15   mesi   dall'evento,
richiedendo, dunque, solo per il periodo successivo il rilascio della
previa autorizzazione. 
    La norma non prevede, inoltre, una clausola di  salvaguardia  per
le fattispecie peculiari dove la tutela dell'ambiente  richiede  piu'
alti margini di attenzione quali  le  aree  che  siano  contermini  a
parchi naturalistici, riserve nazionali o regionali e/o zps,  nonche'
per situazioni ove siano riscontrabili aree di rischio idrogeologico. 
    Va sottolineato che i confini giuridici  delle  aree  interessate
non corrispondono alle caratteristiche di rischio  e  di  conseguente
necessita' di salvaguardia necessarie  per  i  terreni  percorsi  dal
fuoco. In tali contesti l'autorizzazione costituisce,  come  previsto
dalla legge quadro n. 353 del 2000 citata, un  mezzo  per  consentire
interventi dei privati idonei  a  preservare  le  aree  in  parola  e
salvaguardare l'incolumita' pubblica. 
    La norma in esame risponde ad una esigenza di semplificazione, ma
in tale ottica riduce i  margini  di  salvaguardia  senza  bilanciare
entrambe le esigenze di salvaguardia e di semplificazione. Cio' tanto
piu' ove si consideri che la normativa regionale pare  innestarsi  su
altra normativa afferente  all'assegnazione  a  soggetti  privati  di
terreni pubblici. La norma,  pertanto,  contrasta  con  la  legge  n.
353/2000 citata e viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione,  che
attribuisce la materia relativa al governo del  territorio  e  quella
della protezione civile alla competenza concorrente delle regioni. 
    Con  la  formula  della  potesta'  concorrente  la   Costituzione
stabilisce un riparto delle competenze in base al quale «spetta  alle
Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione  dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». 
    L'attivita' legislativa regionale non assume la  connotazione  di
una funzione  delegata,  ma,  piu'  esattamente,  di  una  produzione
normativa autonoma e originale nel quadro e nel contesto dei principi
fondamentali della  materia  dettati  dalla  legislazione  nazionale,
oltre, ovviamente, ai principi di non contraddittorieta'  che  devono
informare l'attivita' legislativa. 
2. L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera g), della legge regionale  n.
7 del 2018 citata viola gli articoli 97 e 117, secondo comma, lettera
s) e lettera m), della  Costituzione  con  riferimento  all'art.  25,
comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata. 
    L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera g), citato,  nel  modificare
il comma 4 dell'art. 26 della legge regionale n. 29 del 1997,  «Piano
dell'area  naturale   protetta»,   introduce   delle   modifiche   al
procedimento di approvazione che risulta  disciplinato  nel  seguente
modo: 
        «4. Il piano  adottato  ai  sensi  dei  commi  precedenti  e'
depositato per quaranta giorni  presso  le  sedi  degli  enti  locali
interessati  e  della  Regione.  L'ente  di  gestione  provvede,  con
apposito  avviso  da  pubblicare  su  un  quotidiano   a   diffusione
regionale, a dare  notizia  dell'avvenuto  deposito  e  del  relativo
periodo. Durante questo periodo chiunque  puo'  prenderne  visione  e
presentare  osservazioni  scritte  all'ente  di  gestione,  il  quale
esprime  il  proprio  parere  entro  i  successivi  trenta  giorni  e
trasmette il parere e le osservazioni alla  Giunta  regionale.  Entro
tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta  regionale,  previo
esame, da effettuarsi entro il limite di tre  anni,  della  struttura
regionale competente in materia di aree  naturali  protette,  apporta
eventuali modifiche ed integrazioni,  pronunciandosi  contestualmente
sulle osservazioni pervenute e  ne  propone  al  Consiglio  regionale
l'approvazione. Trascorsi tre mesi dall'assegnazione  della  proposta
di piano alla  commissione  consiliare  competente,  la  proposta  e'
iscritta all'ordine del giorno dell'Aula ai sensi dell'art. 63, comma
3 del regolamento dei lavori del Consiglio  regionale.  Il  Consiglio
regionale si esprime sulla  proposta  di  piano  entro  i  successivi
centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato». 
    Tale modifica, nel porre una scansione temporale  certa  all'iter
di  approvazione  dello   strumento   pianificatorio,   consente   lo
svolgimento delle attivita' istruttorie  per  l'esame  e  valutazione
dello stesso da parte del consiglio regionale, ma lascia alla  giunta
regionale, la possibilita' -  trascorsi  i  termini  -  di  pervenire
all'approvazione,  introducendo,  di  fatto,  un   vero   e   proprio
meccanismo procedurale di silenzio assenso che si pone  in  contrasto
con le disposizioni specifiche stabilite dal legislatore statale  con
la legge n. 394 del 1991 che  all'art.  25,  comma  2,  espressamente
prevede il «...piano per  il  parco  e'  adottato  dall'organismo  di
gestione del parco ed e' approvato dalla regione»... 
    In base all'art. 25 della legge quadro  sulle  aree  protette  n.
394/1991 citata, il Piano del parco deve,  dunque,  essere  approvato
formalmente dalla Regione, con la conseguenza che il  meccanismo  del
silenzio  assenso,  introdotto  dalla  norma   regionale   impugnata,
disattende tale previsione normativa, ponendosi  in.  violazione  dei
principi fondamentali individuati dalla normativa statale. 
    La  disciplina  delle  aree  protette  rientra  nella  competenza
esclusiva dello Stato in materia di «tutela  dell'ambiente»  ex  art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione  ed  e'  contenuta
nella legge n. 394 del 1991 citata, che, infatti,  detta  i  principi
fondamentali della materia, ai quali  la  legislazione  regionale  e'
chiamata ad adeguarsi, quale normativa interposta. (sentenze n. 315 e
n. 193 del 2010; n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011; n. 14 del 2012;  n.
212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017). 
    L'istituto   del    silenzio-assenso,    costituente    eccezione
all'obbligo  dell'emanazione  del  provvedimento  amministrativo,  e'
ammesso in relazione ad  attivita'  amministrative  nelle  quali  sia
pressoche' assente il profilo  di  discrezionalita',  non  anche  nei
procedimenti ad elevata discrezionalita'  nell'ambito  dei  quali  si
puo' certamente ricomprendere quello di adozione del piano del  parco
previsto all'art. 25, comma 2 della legge  n.  394  del  1991  citato
(sentenza n. 408 del 1995). 
    Alla luce della giurisprudenza  costituzionale  e  amministrativa
deve ritenersi limitata la possibilita' il  ricorso  a  procedure  di
silenzio-assenso in special modo in campo ambientale  (cfr.  art.  20
della legge n. 241 del 1990). 
    Il meccanismo di formazione tacita dell'atto di  assenso  strictu
sensu non e' solo non rispettoso e cautelativo sotto il  profilo  del
contemperamento degli interessi  ambientali  in  gioco,  ma  consente
l'emanazione, tacita, di provvedimento che prescinde da un  ponderato
e coerente apparato motivazionale che  viola  il  principio  di  buon
andamento  dell'Amministrazione,  principio  da   cui   discende   la
necessita' di una manifestazione espressa dell'Amministrazione. 
    Ne  consegue  che  il  procedimento  di  approvazione  del  Piano
dell'area protetta, principale strumento di  governo  del  territorio
delle are naturali protette attraverso  il  meccanismo  del  silenzio
assenso introdotto con l'art. 5, lettera g),  punto  2)  e  3)  della
legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7 citata, viola  le  disposizioni
della n. 394 del  1991  citata  (art.  25,  comma  2),  ponendosi  in
contrasto con l'art. 97 della Costituzione per  il  mancato  rispetto
del principio di buon andamento dell'amministrazione  per  i  profili
dianzi accennati; nonche' con l'art. 117, secondo comma, lettera  s),
della Costituzione, e lettera m), quanto ai livelli  minimi  uniformi
previsti dalla legislazione statale nell'esercizio  della  competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente. 
3. L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera h), della legge regionale  n.
7 del 2018 citata viola l'art. 117, secondo comma, lettere l)  e  m),
della Costituzione in relazione all'art.  4,  comma  6,  decreto  del
Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160. 
    L'art. 5 della legge in esame, al comma 1, punto 2,  lettera  h),
introduce il  comma  1-bis  all'art.  28  della  legge  regionale  n.
29/1997, recante «Norme generali e procedure di individuazione  e  di
istituzione delle aree naturali protette, dei  monumenti  naturali  e
dei siti di importanza comunitaria», stabilendo che «la richiesta per
la realizzazione degli interventi di cui all'art. 6 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001 e' presentata allo  sportello
unico di cui all'art. 5 del medesimo decreto. Per  tali  fattispecie,
il nulla osta di cui al comma 1 e' reso  entro  sessanta  giorni  dal
ricevimento da  parte  dell'ente  gestore  della  richiesta,  decorsi
inutilmente i quali il titolo abilitativo si intende reso». 
    La norma regionale impugnata e' generica non specificando il tipo
di intervento edilizio soggetto a  nulla  osta  come  previsto  dalla
normativa statale. 
    Si ricorda che il nulla osta all'intervento e'  previsto  per  le
opere ricadenti in un'area naturale  protetta,  mentre  non  riguarda
anche la realizzazione di altri  interventi  non  soggetti  a  titolo
abilitativo che, a mente  dell'art.  4,  comma  6,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160  citato,  «Salva
diversa  disposizione  dei  comuni  interessati  e   ferma   restando
l'unicita' dei canale di comunicazione telematico con le  imprese  da
parte del SUAP, sono attribuite al SUAP le competenze dello sportello
unico per l'edilizia produttiva». 
    La norma  regionale  de  qua  non  prevede  ne'  distingue  varie
tipologie di opere edilizie ai fini del rilascio del nulla-osta e, in
particolare, non prevede espressamente le modalita'  di  rilascio  di
nulla osta per «attivita' produttiva». 
    D'altra parte, la stessa legge regionale in  esame  all'art.  33,
richiamando  quanto  gia'  previsto  dalla   normativa   statale   di
riferimento, prevede che sia il SUAP l'unico punto di accesso, quindi
l'unico soggetto di  riferimento  per  l'avvio  e  l'esercizio  delle
attivita' produttive. 
    La norma in esame si pone, dunque, in contrasto con la  normativa
statale citata nonche' con l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),
della Costituzione che  riserva  alla  legge  statale  la  disciplina
dell'ordinamento civile; e con l'art. 117, secondo comma, lettera m),
rientrando la disciplina in materia di  segnalazione  certificata  di
inizio attivita' nei livelli essenziali  delle  prestazioni,  di  cui
alla citata lettera m), ai sensi  dell'art.  29,  comma  2-ter  della
legge n. 241 del 1990. 
4. L'art. 5, comma 1, punto 2, lettera i), della legge regionale n. 7
del 2018  citata  viola  l'art.  117,  comma  2,  lettera  s),  della
Costituzione in relazione all'art. 13 della legge n. 394/1991 citata. 
    L'art. 5, comma 1, numero 2, lettera i), della legge regionale n.
7 del 2018 citata, introduce all'art. 31  (Sviluppo  delle  attivita'
agricole) della legge regionale  n.  29  del  1997  il  comma  1-bis:
«1-bis. Sono  consentiti  e  non  rientrano  negli  obblighi  di  cui
all'art. 28  le  ricorrenti  pratiche  di  conduzione  delle  aziende
agricole che non comportino modificazioni sostanziali del  territorio
ed in particolare: 
        a) la manutenzione ordinaria del sistema idraulico agrario  e
del sistema infrastrutturale aziendale esistenti; 
        b)  l'impianto  o  l'espianto  delle  colture  arboree  e  le
relative tecniche utilizzate; 
        c) l'utilizzo delle serre stagionali non stabilmente  infisse
al suolo; 
        d) il transito e la sosta di mezzi  motorizzati  fuori  dalle
strade statali, provinciali, comunali, vicinali gravate  dai  servizi
di pubblico passaggio e private per i mezzi  collegati  all'esercizio
delle attivita' agricole di cui al presente articolo; 
        e) l'ordinamento produttivo ed  i  relativi  piani  colturali
promossi e gestiti dall'impresa agricola; 
        f) la raccolta e  il  danneggiamento  della  flora  spontanea
derivanti dall'esercizio delle attivita' aziendali di cui all'art.  2
della l.r. n. 14/2006». 
    La norma esclude dall'obbligo del nulla osta di cui  all'art.  28
della legge  citata  interventi  e  attivita'  che  possono  arrecare
impatti, anche notevoli,  sull'ambiente  naturale,  consentendone  la
realizzazione/svolgimento in tutte le zone dell'area protetta,  anche
in zona A di riserva integrale, senza stabilire alcuna modalita'  di'
verifica e controllo sugli stessi. 
    Tale previsione si pone in contrasto con l'art. 13 della legge n.
394 del 1991 citata, che prevede il rilascio di  nullaosta  da  parte
del soggetto gestore per le attivita' e gli interventi consentiti  in
area protetta,  al  fine  di  verificare  la  loro  coerenza  con  la
disciplina di  tutela,  o  con  gli  strumenti  di  pianificazione  e
regolamentari  ove  vigenti,  e  la  loro  sostenibilita'  ambientale
rispetto alle finalita' istitutive. 
    La norma viola, pertanto l'art. 117, comma 2, lettera  s),  della
Costituzione che  riserva  allo  Stato  la  disciplina  della  tutela
dell'ambiente. 
    D'altronde il successivo art. 28 della legge regionale n.  7/2018
citata richiama  correttamente  come  riferimento  normativo  proprio
l'art. 13 della legge n. 394/1991 citata. 
5. L'art. 5, comma 1, punto 2, lettera l)  punto  n.  7  della  legge
regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art. 117,  lettera  s),  della
Costituzione in relazione agli articoli 22, 23 e 25  comma  2,  della
legge n. 394 del 1991 citata. 
    L'art. 5, comma 1, punto 2, lettera  i),  punto  7,  citato  reca
talune  modifiche  al  comma  2-bis  dell'art.  31  (Sviluppo   delle
attivita' agricole) della legge regionale n. 29 del 1997: «2-bis. Per
favorire lo svolgimento delle attivita' di cui al presente articolo i
soggetti di cui all'art. 57 e 57-bis della l.r.  n.  38/1999  possono
presentare il PUA, redatto secondo le  modalita'  ivi  previste,  nel
rispetto delle forme di tutela di cui alla  presente  legge.  Il  PUA
redatto  secondo  le  modalita'  della  l.r.   n.   38/1999,   previa
indicazione dei risultati che si intendono perseguire, puo' prevedere
la  necessita'  di  derogare  alle  previsioni  del  piano  dell'area
naturale protetta redatto ai sensi dell'art. 26, comma 1, lettera  f)
ad esclusione  delle  normative  definite  per  le  zone  di  riserva
integrale». 
    La disposizione, come  modificata,  consente  che  il  PUA  possa
derogare alle previsioni  del  piano  dell'area  protetta,  con  cio'
ponendosi in contrasto con l'art. 25, comma 2, della legge n. 394 del
1991 citata, secondo il quale il piano dell'area protetta  regionale,
con valore anche di piano paesistico e  urbanistico,  «sostituisce  i
piani paesistici e i piani territoriali o  urbanistici  di  qualsiasi
livello». 
    La previsione di cui al successivo comma 2-ter della legge citata
che prevede,  per  l'approvazione  del  PUA,  che  sia  acquisito  in
Conferenza di servizi il parere dell'ente gestore dell'area protetta,
non consente di  superare  tale  contrasto  e  cio'  in  quanto  tale
strumento non e' comparabile e, dunque, non puo' essere  sostitutivo,
della  complessa  e  partecipata   procedura   tecnico-amministrativa
prevista per l'approvazione del piano dell'area protetta dalla  legge
n. 394 del 1991 citata, nonche' dalla stessa legge in esame, all'art.
26, commi 2, 3 e 4. 
    Alla luce di quanto  fin  qui  rappresentato  e  della  normativa
comunitaria e  interna  in  cui  si  colloca  la  tutela,  deriva  il
contrasto della norma regionale impugnata  con  l'art.  117,  secondo
comma,  lettera  s),  della  Costituzione,  poiche'   la   disciplina
introdotta riduce in  peius  i  livelli  minimi  uniformi  di  tutela
previsti dalla legislazione statale nell'esercizio  della  competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente. 
    La legge 6 dicembre 1991, n. 394 citata (Legge quadro sulle  aree
protette) e' espressione dell'esercizio  della  competenza  esclusiva
statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione  (sentenze  n.  44  del
2011; n. 315 e n. 20 del 2010). 
    Le regioni,  pertanto,  nell'ambito  di  aree  protette,  possono
determinare  maggiori  livelli  di  tutela,  ma  non  derogare   alla
legislazione statale (sentenze n. 44 del 2011, n. 193 del 2010, n. 61
del 2009 e n. 232 del 2008). 
    In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che
«il territorio dei parchi, siano  essi  nazionali  o  regionali;  ben
(possa) essere oggetto di regolamentazione da parte,  della  Regione,
in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost.,
purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del  patrimonio
naturale, da ritenere vincolante per le regioni» (sentenze n. 232 del
2008, punto 5. del  Considerato  in  diritto;  e  44  del  2011  gia'
citata). 
    Nell'ambito, quindi, delle  materie  di  competenza,  le  regioni
trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale.
Questi,  tuttavia,  non  impediscono  al  legislatore  regionale   di
adottare discipline  normative  che  prescrivano  livelli  di  tutela
dell'ambiente  piu'  elevati,  i  quali  «implicano  logicamente   il
rispetto degli standard  adeguati  e  uniformi  fissati  nelle  leggi
statali» (sentenze n. 315 del 2010; in tal senso sentenze n.  66  del
2018; n. 74 del 2017; n. 267 del 2016 e n. 149 del 2015). 
    La legge quadro n. 394 del 1991 citata, per costante affermazione
giurisprudenziale, e' ricondotta alla materia ambientale  e  detta  i
principi fondamentali  cui  le  regioni  sono  tenute  ad  adeguarsi.
(sentenze n. 74 e n. 36 del 2017). 
    Lo standard minimo uniforme di  tutela  nazionale  si  estrinseca
nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette
«di strumenti  programmatici  e  gestionali  per  la  valutazione  di
rispondenza delle  attivita'  svolte  nei  parchi  alle  esigenze  di
protezione» dell'ambiente e  dell'ecosistema  (sentenze  n.  171  del
2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del 2017; n. 263 e n.  44
del 2011; n. 387 del 2008). 
    Sono, dunque, il regolamento (art. 11) e il piano  per  il  parco
(art. 12), nonche' le misure  di  salvaguardia  adottate  nelle  more
dell'istituzione dell'area protetta (articoli 6 e 8),  gli  strumenti
attraverso i  quali  tale  valutazione  di  rispondenza  deve  essere
compiuta a tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    La legge n. 394 del 1991 citata non si limita, dunque, a  dettare
standard minimi uniformi atti a  tutelare  soltanto  i  parchi  e  le
riserve naturali nazionali - istituiti ai  sensi  dell'art.  8  della
legge quadro  (rispettivamente,  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica e con decreto del  Ministro  dell'ambiente)  -  ma  impone
anche  un  nucleo  minimo  di  tutela   del   patrimonio   ambientale
rappresentato dai parchi e  dalle  riserve  naturali  regionali,  che
vincola il legislatore regionale nell'ambito delle proprie competenze
(sentenze n. 74 e n. 36 del 2017 citate; n. 212 del 2014; n. 171  del
2012; n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011 citate). 
    Anche in relazione  alle  aree  protette  regionali,  invero,  il
legislatore   statale   ha    predisposto    un    modello    fondato
sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera  della  legge
regionale  istitutiva  (art.  23),  sull'adozione,  «secondo  criteri
stabiliti con legge regionale  in  conformita'  ai  principi  di  cui
all'art. 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22,  comma  1,
lettera d, peraltro significativamente  ed  espressamente  ricompreso
tra i «principi fondamentali per la disciplina  delle  aree  naturali
protette regionali»), nonche' su un piano per  il  parco  tramite  il
quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale  (art.
25). 
    Per altro verso, puo' senz'altro riconoscersi che il  legislatore
statale ha previsto, per le  aree  naturali  protette  regionali,  un
quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per  le  aree
naturali protette nazionali, di talche' le regioni hanno  un  margine
di discrezionalita' tanto in relazione alla disciplina  delle  stesse
aree protette regionali quanto sul contemperamento tra la  protezione
di queste ultime e altri interessi meritevoli  di  tutela.  Cio'  non
toglie, tuttavia, che l'esistenza di un regolamento  e  di  un  piano
dell'area  protetta,  cui  devono  conformarsi  le  attivita'  svolte
all'interno del parco o della riserva, oltre  che  costituzionalmente
necessarie, devono garantire la  conforme  corrispondenza  ai  canoni
previsionali inderogabili imposti dalla normativa nazionale,  essendo
manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore
statale  ha  individuato  nell'esercizio  della  propria   competenza
esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  e
che, come osservato, le regioni possono ampliare con  un  aumento  di
tutela, ma non, appunto, derogare in peius. 
6. L'art. 5, comma 6, lettera c), della legge regionale n. 7 del 2018
citata viola l'art. 117, comma 3,  della  Costituzione  in  relazione
agli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
380/2001. 
    L'art. 5, comma 6, lettera  c),  citato  («Modifiche  alle  leggi
regionali 6 ottobre 1997, n. 29 "Norme in materia  di  aree  naturali
protette regionali", 13 gennaio 2005,  n.  1  "Norme  in  materia  di
polizia locale" e 22 dicembre 1999, n.  38  "Norme  sul  governo  del
territorio", e successive modifiche»),  disciplina  aspetti  connessi
alla ricostruzione nei territori dell'Italia  Centrale  dagli  eventi
sismici dell'agosto 2016 e del 2017. 
    Il comma 6, lettera c), di tale disposizione  modifica  la  legge
regionale n. 38/1999 («Norme sul governo del territorio»), inserendo,
di seguito  all'art.  57  («Piani  di  utilizzazione  aziendale»)  ed
all'art. 57-bis («PUA per le attivita' integrate  e  complementari»),
un nuovo art. 57-ter («Definizione di edifici legittimi  esistenti»),
il cui comma  1  stabilisce  che,  per  «le  finalita'  dei  predetti
articoli 57 e 57-bis, per edifici legittimi esistenti  "si  intendono
anche quelli realizzati in assenza di titolo abilitativo  in  periodi
antecedenti alla data di entrata in vigore della legge 6 agosto 1967,
n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge  urbanistica  17  agosto
1942, n. 1150) ovvero che siano  stati  oggetto  di  accertamento  di
conformita', da parte dei responsabili  dell'abuso,  ai  sensi  degli
articoli 36 e 37 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001». 
    Ai sensi dell'art. 2 del decreto del Presidente della  Repubblica
n.  380/2001  (Testo   unico   delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari  in  materia  edilizia),  le  regioni  hanno   potesta'
legislativa concorrente  in  materia  edilizia,  da  esercitarsi  nei
limiti  dei  principi  fondamentali  desumibili  dalle   disposizioni
contenute nel testo unico stesso, che contengono una disciplina molto
articolata e dettagliata. 
    Fra  tali  principi   come   individuati   dalla   giurisprudenza
costituzionale, si annovera la  gradualita'  dei  titoli  abilitativi
indicati nel medesimo Testo Unico,  con  il  conseguente  divieto  di
introdurne  di  diversi   ed   ulteriori;   l'inderogabilita'   della
disciplina per l'attivita'  edilizia  in  assenza  di  pianificazione
urbanistica (art. 9); la definizioni delle  categorie  di  interventi
edilizi  previste  all'art.  3,   con   particolare   riguardo   alla
distinzione fra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di  nuova
costruzione, e di ristrutturazione edilizia pesante, da un lato, e le
ipotesi di ristrutturazione edilizia leggera e degli altri interventi
(restauro e risanamento conservativo,  manutenzione  straordinaria  e
manutenzione ordinaria) dall'altro  (sentenza  23  gennaio  2011,  n.
309). 
    Ulteriori ambiti di autonomia regionale sono  stati  riconosciuti
dal decreto-legge 13 giugno 2013, n. 69, convertito con  la  legge  9
agosto 2013,  che,  aggiungendo  al  Testo  Unico  l'art.  2-bis,  ha
previsto che le regioni possano stabilire - con leggi e regolamenti -
disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori  pubblici
2 aprile 1968, n. 1444, potendo cioe'  disciplinare  i  limiti  della
densita' edilizia, dell'altezza,  della  distanza  fra  fabbricati  e
potendo  dettare  disposizioni  sugli   spazi   da   destinare   agli
insediamenti residenziali, a quelli produttivi,  a  quelli  riservati
alle attivita' collettive, al verde e ai parcheggi nell'ambito  della
definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque  funzionali
a  un  assetto  complessivo  e  unitario   o   di   specifiche   aree
territoriali. 
    Ora, ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001,  richiamati  nella  novella  regionale,
fino all'irrogazione delle  prescritte  sanzioni  amministrative,  il
responsabile   dell'abuso   edilizio   o    l'attuale    proprietario
dell'immobile, in  caso  di  interventi  realizzati  in  assenza  del
permesso di costruire o in difformita' o in assenza o in  difformita'
della D.I.A. e dell'accertamento di conformita',  possono  conseguire
il permesso in sanatorio (c.d. accertamento in conformita'),  qualora
l'intervento abusivo risulti conforme  alla  disciplina  edilizia  ed
urbanistica vigente al momento di realizzazione  del  medesimo  e  al
momento di presentazione della relativa istanza, secondo il principio
della doppia conformita'. 
    L'attribuzione della  qualifica  legale,  da  parte  della  legge
regionale in commento, di «edificio legittimo esistente» ai manufatti
per i quali si  siano  verificate  le  teste'  descritte  condizioni,
ancorche' per le sole finalita' connesse ai  piani  di  utilizzazione
aziendale in agricoltura ed  ai  piani  di  utilizzazione  agronomica
(PUA)  per  le  attivita'  integrate  e  complementari,  si  pone  in
contrasto  con  i  predetti  principi  fondamentali  della   materia,
consentendo   alla   autonomia   regionale   di    effettuare    tale
qualificazione non ammissibile. 
    Tale disposizione contrasta con  la  legislazione  statale  sopra
richiamata e viola l'art.  117,  comma  3,  della  Costituzione,  che
attribuisce la materia relativa al governo del  territorio  e  quella
della protezione civile alla competenza concorrente delle regioni. 
7. L'art. 20 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola  l'art.
117, secondo comma,  lettera  h),  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 31 del regio decreto n. 1604 del 1931. 
    L'art. 20  citato  recante  «Modifiche  alla  legge  regionale  7
dicembre 1990, n. 87 "Norme per la tutela del patrimonio ittico e per
la disciplina dell'esercizio della  pesca  nelle  acque  interne  del
Lazio» e successive modifiche, prevede che il rilascio e  il  rinnovo
della qualifica di guardia  giurata  ittica  volontaria  puo'  essere
riconosciuto a coloro che abbiano riportato condanne per reati puniti
con la sola pena pecuniaria. 
    Va rilevato che il regio decreto n. 1604 del 1931,  all'art.  31,
dispone che gli agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla  pesca
nelle acque interne, devono possedere i requisiti previsti  dall'art.
138 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza per le  guardie
particolari giurate. Tale disposizione prevede,  tra  gli  altri,  il
requisito del «non avere riportato condanna per delitto». 
    L'art. 20 impugnato si pone, pertanto, in palese contrasto con la
citata disciplina statale, atteso che  la  pena  pecuniaria,  cui  si
riferisce la norma in esame, ben potrebbe essere  una  multa  per  un
reato contravvenzionale, ossia la sanzione  penale  prevista  per  le
fattispecie che configurano ipotesi delittuose. 
    Tale disposizione  viola,  dunque,  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera h), della  Costituzione  in  materia  di  ordine  pubblico  e
sicurezza. 
8. L'art. 24 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola  l'art.
117, comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 24 («Misure urgenti in favore  delle  aree  colpite  dagli
eventi sismici del 2016. Modifiche alla legge regionale  22  dicembre
1999,  n.  39  "Norme  sul  governo  del  territorio"  e   successive
modifiche»)  disciplina  aspetti  connessi  alla  ricostruzione   nei
territori dell'Italia Centrale dagli eventi sismici dell'agosto  2016
e del 2017. 
    Ai sensi dei commi da 1 a 8 di tale disposizione, nei  comuni  di
cui agli allegati 1 e 2 del decreto-legge n. 189/2016, che presentino
una  percentuale  superiore  al  cinquanta  per  cento   di   edifici
dichiarati inagibili con esito E rispetto agli edifici esistenti alla
data dell'evento  sismico,  ai  proprietari  di  immobile  dichiarato
inagibile, e' consentita l'installazione di strutture  temporanee  ed
amovibili, sul medesimo sito o su altro terreno di proprieta' ubicato
nello stesso comune con  qualsiasi  destinazione  urbanistica,  senza
necessita' di alcun titolo  abilitativo  ad  eccezione  della  previa
autorizzazione   comunale;   la   finalita'   della   previsione   e'
«scongiurare fenomeni di abbandono del territorio». 
    Il  decreto-legge  n.  189/2016,   al   Capo   I-bis   «Strutture
provvisorie di prima emergenza» e,  in  particolare,  all'art.  4-bis
«Disposizioni in materia di strutture e moduli abitativi  provvisori»
aveva gia' previsto  la  disciplina  per  individuare  soluzioni  che
consentissero, «nelle  more  della  fornitura  di  diverse  soluzioni
abitative, un'adeguata sistemazione alloggiativa  delle  popolazioni,
in un contesto comprensivo di strutture a supporto  che  garantissero
il  regolare  svolgimento  della   vita   della   comunita'   locale,
assicurando anche il presidio di sicurezza del  territorio»,  e  cio'
con  la  finalita'  di  fronteggiare  l'aggravarsi   delle   esigenze
abitative nei territori delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo
colpite  dagli  eventi  sismici.  Stante  la  normativa  emergenziale
dettata a  livello  nazionale  per  la  ricostruzione  dei  territori
colpiti dagli eventi sismici iniziati il 24 agosto 2016, la correlata
disciplina regionale puo' intervenire esclusivamente quale  normativa
di dettaglio di quest'ultima ove si renda  necessario  completare  la
disciplina statale. Infatti,  in  ragione  del  perdurante  stato  di
emergenza, gli eventi calamitosi di cui si e' detto assurgono  ad  un
livello sovraregionale che ne  testimonia  l'interesse  nazionale  in
quanto incidente su interessi e pubblici e collettivi di  piu'  ampia
portata rispetto a quelli afferenti al territorio regionale. 
    La  normativa  regionale  appare,  quindi,  non   conforme   alla
normativa statale. 
    Ai sensi, poi, del comma 9 dell'art. 24 della legge regionale  n.
7/2018 citata, nel corpo della sopra richiamata  legge  regionale  n.
38/1999,  viene  introdotto  un  nuovo  art.  49-bis  («Progetti   di
ricostruzione nei territori colpiti dal  sisma»),  il  cui  comma  2,
lettera b), inserisce un nuovo comma 3-ter all'art. 55; in  forza  di
tale nuovo comma, ai fini della ricostruzione degli edifici legittimi
o legittimati, esistenti alla data del sisma nelle zone agricole  dei
comuni  delle  regioni  colpite  dal  sisma,  sono   consentiti   gli
interventi di ristrutturazione edilizia che comportano  modificazioni
della sagoma, di cui all'art. 3, comma 1, lettera e), e dell'art. 10,
comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380/2001. 
    Il  richiamato  decreto-legge  n.  69/2013,   all'art.   30,   ha
modificato il Testo Unico sull'edilizia anche per quanto  attiene  al
rispetto della sagoma negli interventi di  ristrutturazione,  abolito
dal  provvedimento;  in  base  alle  modifiche  introdotte,  per  gli
interventi di demolizione e ristrutturazione  e  per  le  varianti  a
permesso di costruire, concernenti immobili situati all'interno delle
parti  storiche  degli  insediamenti  urbani,  l'operativita'   della
disposizione  sul  rispetto  della  sagoma  e'  condizionata  ad  una
delibera comunale che indichi le aree in cui non e'  utilizzabile  la
S.C.I.A., ma e' comunque richiesto il permesso di costruire. 
    La circostanza  che  l'innovazione  legislativa  contenuta  nella
legge regionale de qua si riferisca  alle  zone  agricole,  e  non  a
quelle urbane, proprio per la ragione  sopra  esposta,  ossia  che  a
livello statale  cio'  e'  consentito  solo  per  i  centri  storici,
costituisce violazione della normativa statale. 
    Tale disposizione contrasta con  la  legislazione  statale  sopra
richiamata e viola l'art.  117,  comma  3,  della  Costituzione,  che
attribuisce la materia relativa al governo del  territorio  e  quella
della protezione civile alla competenza concorrente delle regioni. 
9. L'art. 32 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola  l'art.
117, comma 2, lettera h), della Costituzione  in  relazione  all'art.
50, comma 5, del TUEL decreto legislativo n. 267/2000. 
    L'art. 32 citato attribuisce al comune la competenza a  stabilire
limiti e condizioni agli orari di apertura e  chiusura  dei  pubblici
esercizi «per gravi e urgenti motivi  relativi  all'ordine  pubblico,
alla sicurezza». 
    L'art. 50, comma 5, del TUEL (decreto legislativo  n.  267/2000),
come  modificato  con  decreto-legge  n.  14/2017,   convertito   con
modificazioni dalla legge n. 48/2017, pur consentendo al  Sindaco  di
intervenire (con ordinanza contingibile  e  urgente)  in  materia  di
orari di vendita, riconosce tale facolta' esclusivamente per  i  casi
di «urgente necessita' di interventi volti a superare  situazioni  di
grave  incuria  o  degrado  del  territorio,  dell'ambiente   e   del
patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della  vivibilita'
urbana, con particolare riferimento alle  esigenze  di  tutela  della
tranquillita' e del riposo dei residenti», e non gia' per ragioni  di
tutela  dell'ordine  pubblico  e  alla  sicurezza,   riservata   alle
autorita' di pubblica sicurezza. 
    Pertanto, appare evidente che la disposizione regionale impugnata
si pone in contrasto con la normativa statale citata e  viola  l'art.
117, secondo comma, lettera h),  della  Costituzione  in  materia  di
ordine pubblico e sicurezza. 
10. L'art. 33, comma 1, lettera a), viola l'art. 117, secondo  comma,
lettere l) e m) della Costituzione. 
    L'art. 33 citato introduce l'art. 4-bis alla legge  regionale  n.
33 del 1999 («Disciplina relativa al settore commercio»).  Il  citato
art. 4-bis, al comma 3, prevede che: «Ai fini della  presentazione  e
verifica formale della segnalazione certificata di  inizio  attivita'
(SCIA), i soggetti interessati possono avvalersi della agenzia per le
imprese in conformita' alle disposizioni del decreto  del  Presidente
della Repubblica 9 luglio 2010, n. 159». 
    Ai sensi dell'art. 5, comma 4, del decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 160 del 2010, la verifica  formale  della  SCIA  spetta
esclusivamente al SUAP. All'Agenzia per le imprese e'  attribuita  la
funzione di rilascio di una  semplice  dichiarazione  di  conformita'
della SCIA comprensiva della verifica  sia  formale  sia  sostanziale
«che costituisce titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attivita'
e per l'avvio immediato dell'intervento dichiarato» (art. 6,  decreto
del Presidente della Repubblica n. 160 del 2010). 
    A cio' si aggiunga che il decreto del Presidente della Repubblica
n. 159 del 2010 («Regolamento recante i requisiti e le  modalita'  di
accreditamento delle agenzie per le imprese, a  norma  dell'art.  38,
comma 4. del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto  2008,  n.  133»),  citato  dalla
disposizione in esame, non contiene alcuna  menzione  della  verifica
formale in capo alle Agenzie per le imprese, poiche' concerne la sola
disciplina dei requisiti per l'accreditamento delle stesse. 
    L'art. 33 in  esame  si  pone,  pertanto,  in  contrasto  con  la
normativa statale richiamata nonche' con l'art. 117,  secondo  comma,
lettera l), della Costituzione che  riserva  alla  legge  statale  la
disciplina dell'ordinamento civile; e con l'art. 117, secondo  comma,
lettera m), atteso che  la  disciplina  in  materia  di  segnalazione
certificata  di  attivita'  attiene  ai  livelli   essenziali   delle
prestazioni di cui alla citata lettera m). 
11. L'art. 79 della legge regionale n. 7 del 2018 citata si  pone  in
contrasto  con  l'art.  117,  secondo  comma,   lettera   h),   della
Costituzione. 
    L'art. 79 prevede interventi regionali anche a favore di soggetti
vittime di estorsione, stabilendo, pero', che «la struttura regionale
competente comunica all'ufficio del Governo competente in materia  di
iniziative antiracket ed antiusura gli indennizzi concessi  ai  sensi
del presente articolo». 
    La normativa statale di cui alle leggi n. 44/1999 e  n.  108/1996
in materia di attivita' di contrasto a fenomeni di estorsione e usura
prevede l'istituzione del Comitato di  solidarieta'  per  le  vittime
dell'estorsione e dell'usura, presso il Ministero dell'interno. 
    La legge 23 febbraio 1999, n. 44 stabilisce, all'art. l  che  «ai
soggetti danneggiati da attivita' estorsive e' elargita una somma  di
denaro a titolo di  contributo  al  ristoro  del  danno  patrimoniale
subito, nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla presente legge». 
    Per quanto concerne l'usura, la  legge  n.  108/1996  prevede  la
concessione in favore delle vittime di un mutuo  senza  interessi  da
restituire in rate decennali. 
    Occorre, altresi', specificare  che,  ai  sensi  della  legge  di
conversione 12 novembre 1999, n. 414, e' sancita, all'art. 12,  comma
1-bis, la non cumulabilita' con precedenti risarcimenti o rimborsi  a
qualunque titolo da parte di altre Amministrazioni  pubbliche  ed  e'
prevista, all'art. 16, comma 2-bis,  la  revoca  totale  o  parziale,
dell'elargizione al sopravvenire  di  tale  risarcimento  o  rimborso
ovvero di un rimborso assicurativo. Infatti, le citate norme  statali
sono   essenzialmente   dirette   a   scongiurare   ogni    possibile
sovrapposizione rispetto ad analoghi benefici eventualmente  previsti
dalle legislazioni regionali a favore delle vittime del racket. 
    La disposizione  regionale  crea,  invero,  una  duplicazione  di
benefici a ristoro del medesimo evento dannoso, violando, quindi,  il
principio  del  buon  andamento  dell'azione   amministrativa   della
pubblica amministrazione di cui all'art.  97  della  Costituzione;  e
l'art. 117, secondo comma, lettera h) in materia di ordine pubblico e
sicurezza. 
    Sul punto le attribuzioni  regionali  devono  piu'  correttamente
ricondursi alla realizzazione degli interventi, gia' previsti  quali,
ad esempio, le azioni di sostegno psicologico, di assistenza e tutela
in favore di vittime o potenziali vittime, comprensivi di  consulenza
aziendale    finalizzata    al    miglioramento    della     gestione
economico-finanziaria dell'impresa volta a  consentire  l'accesso  al
credito ordinario, la promozione e il  sostegno  dell'associazionismo
di  settore,  la  promozione  di   attivita'   di   comunicazione   e
pubblicazione sui  servizi  offerti  alle  famiglie  e  alle  piccole
aziende,   la    promozione    di    studi,    ricerche,    attivita'
sensibilizzazione sui temi in argomento. 
    La norma impugnata, nel  prevedere,  genericamente,  un  distinto
intervento regionale per il contrasto all'estorsione ed all'usura  si
pone, pertanto, in palese contrasto con l'art.  117,  secondo  comma,
lettera h), della Costituzione che riserva allo Stato in  materia  di
ordine pubblico e sicurezza. 
12. L'art. 84 della legge regionale n. 7 del 2018 citata viola l'art.
117, secondo comma, lettera l) e lettera m), della Costituzione. 
    L'art. 84, comma 1, lettera b), introduce l'art. 4-bis alla legge
regionale n. 30 del  1998  («Disposizioni  in  materia  di  trasporto
pubblico  locale»)  prevedendo  che   «L'inizio   del   servizio   e'
subordinato  alla  preventiva  segnalazione  certificata  di   inizio
attivita' (SCIA)  (...)  presentata  all'ente  territoriale  nel  cui
territorio il servizio e' svolto,  secondo  i  criteri  di  cui  agli
articoli 3 e 10, comma 2.». 
    Il rinvio agli articoli 3 e 10, comma 2, della legge regionale n.
30/1998 relativi, rispettivamente, alla classificazione  dei  servizi
di trasporto pubblico locale in comunali, provinciali e  regionali  e
alle funzioni conferite al riguardo ai comuni non e' conferente. 
    In particolare, quanto al  richiamo  all'art.  3,  il  comune  e'
l'ente territoriale di competenza a cui  deve  essere  presentata  la
SCIA e, quanto all'art. 10, comma 2, si osserva che tale disposizione
ha ad oggetto le  funzioni  conferite  al  comune,  relativamente  ai
servizi  di  linea  comunali,  il  cui  esercizio  attiene  a  regimi
amministrativi diversi dalla SCIA. 
    L'art. 84 si  pone,  pertanto,  in  contrasto  con  la  normativa
statale citata; nonche' con l'art. 117, secondo  comma,  lettera  l),
della Costituzione, che riserva  alla  legge  statale  la  disciplina
dell'ordinamento civile; e con l'art. 117, secondo comma, lettera m),
atteso che la disciplina in materia di  segnalazione  certificata  di
inizio attivita', ai sensi dell'art. 29, comma 2-ter della  legge  n.
241 del 1990, attiene ai livelli essenziali delle prestazioni di  cui
alla citata lettera m).